Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era entrato nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due giornate intere a prepararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve cuocere a fuoco lentissimo per ore e ore con cipolla, pomodoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno seguente si prepara un risotto, quello che chiamano alla milanese (senza zafferano, per carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le uova e lo si fa raffreddare. Intanto si cucinano i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzetti alcune fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (niente frullatore, per carità di Dio!). Il succo della carne si mescola col risotto. A questo punto si piglia un po’ di risotto, si sistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Dopo, tutti gli arancini s’infilano in una padella d’olio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziando il Signore, si mangiano!
(A. Camilleri, Gli arancini di Montalbano, Mondadori, Milano, 1999)